Francesca Dondoglio | Diari

All’improvviso un violino stonò, come una speranza fuori posto.
Complice la sincronicità, gli venne in mente quel libro in cui aveva letto che nelle tribù americane gli iniziati si spingevano digiuni fino ai nidi delle aquile per ricevere un’allucinazione redentrice. Quale ricompensa giustificava lo sforzo e la pena per raggiungerlo? Conosce solo chi l’ha
fatto. Non sapeva spiegarselo, ma lui, che di pensieri ad alta quota ne aveva pieni gli zigomi, poteva averne una mezza idea. Lassù noi vediamo solo un vento rapinoso. Quaggiù solo babele di parole.

L’ora scoccò. Salutò la tenda e uscì.
Una volta in strada, fece il suo solito lungo respiro e alzò la testa a scrutare il cielo. Niente aquile in vista, solo il grido delle rondini incalzava, stonato il giusto, disperato quanto basta da sfiorare il magnifico.

Si fiondavano, come in un prodigio, pietre lanciate dai palazzi di fronte.

[ Diari, giugno 2022 ]

Senza titolo, 2023, acrilico e pastello su carta, 61x46cm, n° P-86

E invece non sei cambiata come me / a Bologna

[di seguito un estratto da “E invece non sei cambiata come me”, Castelvecchi 2023]

Katerina si accomoda sulla sedia posta davanti alla scrivania dove troneggia George, elegante, profumato e ben rasato. George le allunga la busta contenente il compenso pattuito per un’ora di ascolto: cinquanta euro. Katerina apre discretamente la busta per verificarne il contenuto, la sistema nella borsa e inizia a raccontare nei dettagli il rituale suicida che assieme a Decimo avevano programmato per il solstizio!
George prende qualche appunto prima di domandarle quando è iniziata la programmazione del rito e come si sono conosciuti lei e Decimo Cirenaica.
Ci siamo conosciuti a causa di un libro che Decimo ha scritto, un romanzo. Io un mese fa vivevo a Roma, e non avevo nessuna intenzione di cambiare città! E invece è bastato un libro! E quando sono arrivata qui a Parigi, esattamente il 24 ottobre 2012, e ho visto coi miei occhi dove abitava e come il mio amato Cirenaica… ho iniziato a riflettere sulla scelta fatta, a velarla di avventatezza, a metterla in discussione insomma! Il primo mese lo abbiamo trascorso in una stanza fredda e umida, all’interno di un appartamento senza doccia… Per fare la doccia dovevamo salire al secondo piano, in un altro appartamento della Madama, e mi sentivo misera e inadatta, dentro le mie ciabatte, e con solo l’accappatoio addosso, e provavo una vergogna talmente intima da non riuscire a condividerla nemmeno con il mio adorato Cirenaica! Il 4 dicembre abbiamo accettato la proposta di Madame Patti affittando una stanza al quarto piano dello stesso immobile, una stanza grande, con due finestre: la stanza del suicidio! I primi giorni ero veramente euforica… poi qualcosa è cambiato!

Simone Olla
Cagliari 1977. È tra i fondatori di Casa lettrice Malicuvata (Bologna). Ha ideato e diretto il festival d’arte Passaggi per il bosco. Suoi articoli e racconti sono apparsi sulle riviste «Nuovi Argomenti», «Diorama letterario», «Toilet», «Prospektiva», «Drome», «Incursioni». A Parigi ha realizzato la video-intervista Alain de Benoist. Réponses e curato il volume Alain de Benoist. Risposte al Gruppo Opìfice (Malicuvata, 2013). È co-autore, interprete e produttore del lungometraggio Le sedie di Dio del regista Jérôme Walter Gueguen (Milano Film Festival, 2014). Ha scritto i romanzi Luce Bianca (Catartica, 2022), E invece non sei cambiata come me (Castelvecchi, 2023).

*

prossimo appuntamento: 5 maggio 2023, Centro Sociale della Pace, Bologna

E invece a Bologna

prossime date

5maggio/bologna/ centro sociale della pace

Simone Olla | Rivolutzione postmoderna

[un capitolo tratto dal nuovo romanzo in lavorazione: storia di una radio.]

Un politico del Paese avvicina Ugone per chiedergli se Radio Indipendentzia si occuperà, con interviste e approfondimenti, dell’imminente tornata referendaria. È un passaggio decisivo per la nostra comunità, continua il politico. Staccarci da Cagliari significa morte amministrativa. Non riusciremo a governarci da soli. Non siamo in grado!
Ugone risponde che sarà dato ampio spazio sia alle ragioni degli uni che a quelle degli altri. La radio, inoltre, ha deciso di comunicare le sue intenzioni di voto con un breve comunicato.

Dal 1928 il Paese è frazione di Cagliari. Fra una settimana possiamo riprenderci l’autonomia, pensa Ugone avviandosi in Radio per la riunione straordinaria del direttivo. L’ordine del giorno è il referendum che coinvolge i residenti del Paese che abbiano compiuto la maggiore età. Fra i membri del direttivo si respira aria di cambiamento, di svolta storica, di responsabilità. Quando ci si incontra in strada la domanda è sempre la stessa: per cosa voterai? E la risposta è sempre la stessa: l’autonomia da Cagliari. Il Paese diventa comune a sé, lo diventerà… E sarà il primo passo verso l’indipendenza della Sardegna. Dobbiamo assumere questo ruolo con la più alta onestà possibile: ne va della libertà di chi verrà dopo di noi. La lotta dovrà continuare oltre i confini della ritrovata autonomia del Paese. La nostra agenda politica non cambia: Fintzas a s’Indipendentzia.

A seguito dell’ennesima delusione politica culminata con l’espulsione di Basile Morelli dal Partito Sardo, la sera del 5 aprile 1982, con una solenne stretta di mano, Ugone Rivalta e il suo amico Basile formano Libertade Natzionale: il movimento intende creare una netta cesura col Partito Sardo e le sue istanze autonomiste e si rivolge a tutti quei sardi che vogliono costruire uno stato sovrano, libero e indipendente.
Dopo il raggiungimento dell’autonomia da Cagliari, Libertade Natzionale lancia una campagna di sensibilizzazione – con raccolta firme, volantinaggi e affissioni – per modificare la toponomastica in Paese. L’idea viene accolta positivamente anche dal direttivo della Radio che all’unanimità e formalmente conferisce a Ugone Rivalta la direzione editoriale di Radio Indipendentzia.

Oggi iniziamo la trasmissione con una segnalazione libraria: Sardegna (in)divisa, il romanzo di fantascienza di un giovane autore gallurese e militante di Libertade Natzionale, Basile Morelli.
Leggiamo un breve passaggio…
Quando divisero la Sardegna ero appena nato. Mi sembrava strana realtà vedere il confine crescere: OT non è territorio sardo. Ma italiano! L’indipendenza richiedeva un sacrificio territoriale – dicevano e lo dicono ancora. Un corridoio italo-americano in terra di Sardegna: Terranova, provincia autonoma della Repubblica italiana. Beffa politica, militare, economica.
Ingiustizia sociale.
La Repubrica Sardisca nasceva mutilata.

Ascoltiamo ora Memorias, Coro di Nugoro, tratto dall’album Canti popolari di Sardegna, 1975. Testo e musica: Gian Paolo Mele. Solista: Billy Delussu. Tirsu LP Stereo. Distribuzione Sardinia Dischi. Che purtroppo si trova in Corso Umberto, 5 a Decimomannu. Dico purtroppo perché si tratta dell’ennesima strada dedicata a un Savoia. Ed è un dovere politico e un diritto sociale cambiare la toponomastica nei paesi e nelle città della Sardegna.
Il nostro Paese si sta distinguendo in questa operazione di sovranità: la comunità cittadina rivendica il diritto di percorrere le vie della memoria sarda. Le vie dei Savoia in Paese sono tutte qua, le abbiamo raccolte in un elenco. E chiediamo che vengano sostituite, i nomi cambiati con altri nomi che si riferiscono alla Sardegna. Pratza Carta de Logu in luogo di piazza Yenne. Ruga Maria Lai invece che via Principe Amedeo. Ruga Baquis Sulis al posto di corso Vittorio Emanuele di Savoia. Fuori lo straniero dalle nostre vie! La ruga dei nuraghi. La ruga della civiltà nuragica. Ruga Is Concias. Ruga Sa Domu ‘e s’orcu. Ruga Michelangelo Pira, ruga Costantino Nivola, ruga Giuseppe Blasi, ruga Edina Altara, ruga Francesco Ciusa, ruga Antonio Pigliaru, ruga Pratobello 1969. E il busto di J. M. Angioy al posto della statua di Carlo feroce. Cose così.

Flavia Cidonio | Cantilena

Non c’è verso che impari, no
mormora dritta,
non c’è verso me ne stia quieta,
visibile e riconoscibile
così come chi sa d’esserlo,
ciondolante
come un pino
che le radici ha nascoste.
Non c’è verso
che sia abbastanza soddisfatta
da attendere un seme che germoglia
o una promessa già marcia
da cui ricavare sensi
perché i soli frutti che conosco
sono quelli che ho piantato
io stessa
anche solo fra i pensieri
tutti quelli
che mi attraversano
come arterie
senza essere ricchi di sangue,
ma sono pochi, sono sempre
troppi pochi.

Ho la testa dura, ricevuta in dono
da radici di teste insospettabilmente
dure nello stesso punto
– le peggiori! –
di chi sa conoscere
un limite contingente
e proprio per questo
non se ne cura,
e proprio per questo
vi mostra rispetto
il mio è solo un piccolo disprezzo
generoso, in fondo
per ogni distanza

fra me e quel che amo,
fra me e quel che piango.

E invece in giro

info: simoneolla@gmail.com

Alejandro M. | Palabras para un gran guerrero, un poeta, un mago, un hermano

Nada más empezar a escribirte salta una sonrisa para ti, gran guerrero.
Tú qué a cada rato ofreces grandes batallas con tu sable hecho de flores y tus botas gastadas de caminar por dónde no hay caminos delineados.
Apenas comenzar a conocerte tu corazón se reveló infinito y grande, de capacidades insospechadas, de energía de amor puro y de secretos dl universo.
Una vez te deshiciste de todas tus prendas y objetos para regalarte a la vida, para reír en la cima de la montaña, para jugarte todo y quemar las naves por amor. Y otra vez te fuiste gran guerrero a un lugar donde solo tú sabías dónde estaba, fuiste a mira la oscuridad de un océano y pudiste intuir la belleza salvaje del firmamento.
Dejaste por ahí tu armadura y te cubrirte con una capa hecha de estrellas y con perfume de incienso, y caminaste como un bendito loco, oh gran guerrero, para encontrar cobijo en la poesía, la pintura, la magia, una pequeña flor…
Tú corazón se convirtió en tu sendero y también es hoy y bien lo sabes, tu nave y tu barco. Has aprendido el noble arte de cabalgar dragones y de escuchar el canto más profundo de la noche, sigues ofreciendo hermosas batallas, compartiendo enseñanzas, dibujando sueños que se esconden cuando uno se sale del margen .
Te quiero mucho gran guerrero, por dar tanto, por ser quién eres, por ayudar a crecer, por desafiar la mayoría de las veces con sonrisa picarona, por amar profundamente y por sentir el pulso y la frecuencia divina.
Ahí donde has dejado tu sable de flores crece un bosque y ahí al pie de un árbol, hay un ser de luz meditando, sonriendo, silbando . Ahí estás tú hermano, que maravilla!
Te amo mucho

*

Parole per un grande guerriero, un poeta, un mago, un fratello

Non appena comincio a scriverti, un sorriso salta fuori per te, grande guerriero.
Tu che spesso combatti grandi battaglie con la tua spada di fiori e i tuoi stivali consumati dopo aver camminato dove non ci sono sentieri tracciati.
Appena ho cominciato a conoscerti, il tuo cuore si è rivelato infinito e grande, con capacità insospettate, con energia di puro amore e segreti dell’universo.
Una volta ti sei spogliato di tutti i tuoi vestiti e oggetti per darti alla vita, per ridere in cima alla montagna, per rischiare tutto e bruciare le navi per amore. E di nuovo sei andato, grande guerriero, in un luogo dove solo tu sapevi dov’era, sei andato a guardare l’oscurità di un oceano e hai potuto percepire la selvaggia bellezza del firmamento.
Lasciasti in giro la tua armatura e ti copristi con un mantello fatto di stelle e profumato d’incenso, e camminasti come un pazzo beato, oh grande guerriero, per trovare rifugio nella poesia, nella pittura, nella magia, in un piccolo fiore…
Il tuo cuore è diventato il tuo cammino ed è anche oggi, e lo sai bene, la tua nave e la tua barca. Hai appreso la nobile arte di cavalcare draghi e di ascoltare il canto più profondo della notte, continui a combattere bellissime battaglie, a condividere insegnamenti, a disegnare sogni che si nascondono quando si esce dal margine.
Ti amo moltissimo, grande guerriero, per aver dato così tanto, per essere quello che sei, per avermi aiutato a crescere, per aver sfidato il tempo con un sorriso furbo, perché possiedi le virtù di amare profondamente e di sentire il polso e la frequenza divina.
Là dove hai lasciato la tua spada di fiori cresce una foresta e là ai piedi di un albero c’è un essere di luce che medita, sorride, fischia… Eccoti fratello, che meraviglia!
Ti amo tanto

Simone Olla | E invece non sei cambiata come me

Autore: Simone Olla
Titolo: E invece non sei cambiata come me
Edizioni: Castelvecchi, 2023
Collana: Carene

Pagine: 124
In copertina: Domenico Grenci, Untitled 2021, oil, charcoal and bitumen on canvas, 100x150cm (dettaglio)

IL LIBRO
A causa di un infortunio causato da una caduta da cavallo, Decimo Cirenaica è costretto a casa. Accanto a lui c’è Elica, sua ex fidanzata, che lo sta aiutando nella riabilitazione psico-fisica. Inizia così un dettagliato resoconto della vita di Decimo e soprattutto dei suoi trascorsi amorosi. Decimo sembra non imparare dai propri errori, e il cinismo di Elica maschera un fondo di verità che il nostro protagonista fatica ad accettare. Una lingua poetica e moderna, per una storia di scoperta – della verità e di quanto sia difficile accettare se stessi e i propri errori. Un racconto tenero e cinico, dove i sentimenti scalciano e le parole si fanno pietre.

*

SIMONE OLLA
Cagliari 1977. È tra i fondatori di Casa lettrice Malicuvata (Bologna). Ha ideato e diretto il festival d’arte Passaggi per il bosco. Suoi articoli e racconti sono apparsi sulle riviste «Nuovi Argomenti», «Diorama letterario», «Toilet«, «Prospektiva», «Drome», «Incursioni». A Parigi ha realizzato la video-intervista Alain de Benoist. Réponses e curato il volume Alain de Benoist. Risposte al Gruppo Opìfice (Malicuvata, 2013). Nel lungometraggio Le sedie di Dio, selezionato al Milano Film Festival 2014, ha collaborato come sceneggiatore e attore. Ha scritto il romanzo Luce Bianca (Catartica, 2022).

Simone Olla | Il mattino, goccia dopo goccia

e non so più come pulirlo questo amore così sporco.
sono fermo, bloccato, e lo riempio di amargura.
difendo così il mio stomaco dolente.
la mia carne sfibrata.
le gocce che sento non sono quelle di un rubinetto aperto.
goccia, il silenzio tuo ogni giorno
goccia d’uccelli sugli alberi a fischiettare risvegli
e nature morte.

non vedo più, non può essere:
le tue parole non riesco a leggerle.

ciò che non resta è già bruciato –
ho imparato anche questo.
e gli avanzi della notte li bruceremo domani.

(2010)

Fabrizio Gabrielli | Quando lo si faceva noialtri, il rap

Noialtri si è vissuta l’epoca pionieristica del rap italico.

Noialtri si è stati nella zona d’ombra larga, imperscrutabile, che s’estendeva tra un Militant A pompato nei centri sociali, monocorde e pure un po’ palloso e i Sottotono che imperversavano su emtivvì e giravano ad heavy-rotation in ogni jukebox perché il testo de “La mia coccinella” era un bel diversivo underground da spiaccicare sulle pagine domenicali del diario, vuote, senza compiti.

Noialtri s’è seguito tutto l’iter. Ma proprio tutto.Noialtri s’è ascoltato, prima. Tanto. Qualsiasi cosa.
Pure Gleastilisti che magari ai più sono passati innotati, ma che scrissero rime d’irraggiunte vette stilistiche, giustappunto, tipo “se t’ammazzo come john fritzgerald ken-ne-dici?”.
S’è deciso di provare, dopo. Scrivendo testi via, via più raffinati. Adoperandosi nella lodevole arte del freestyling ad ogni ora del giorno e della notte.
Una volta, Donato m’è passato a prendere alle due del pomeriggio di un’estate clamorosamente afosa, destinazione spiaggia nera, catramosa, deserta. Si trasformò nella più lunga jam-session a due che la storia hiphoppica ricordi. Otto ore otto di freestyle senza ripeterci, senza sforare nel banale, arrestandosi solo per due tuffi a mare.

Quando ci stavamo dentro noi, Mondo Marcio stava ancora a combattere con lo psicanalista chiuso dentro una scatola, bro.
Noialtri s’è vista La Pina quando le piovevano addosso angeli, quella delle Spice Girls quando le piovevano addosso uomini, Jovanotti quando gli pioveva addosso e basta.
La Pina, in quei giorni gloriosi, rimava ancora per la NientexNiente Production, scriveva lettere incazzate ad AL e si faceva fare le buone cosucce da El Prez, al secolo Esa.
Platinette, che oggi la spalleggia su Radio Deejay, faceva ancora il metalmeccanico al Lingotto.
Quando lo si faceva noialtri, il rap, Neffa non aveva ancora optato per la svolta pop. Alla sua Signorina chiedeva di non tradirlo mai, gorgogliamenti di Giuliano Palma inclusi. Poi sarebbero diventati tutti e due carne da crocifissione, uno cantautore financo impegnato, l’altro skaeggiante maitre-à-penser dei Blue Beaters. La città non era ancora tutta loro, insomma.

Bassi, in quei ruggenti primi anni del Terzo Millennio, non aveva ancora fatto la comparsata sanremesca al fianco di Siria, se ne stava giorni interi chiuso nella sua Fortezza delle Scienze, sancta sanctorum nel quale tutti, in cuor nostro, ambivamo un giorno poter registrare il nostro pezzo migliore e per farlo risparmiavamo soldini preziosi, perché era una spesa sia sobbarcarsi il viaggio che, beh, pagarlo, il buon Bassi Maestro.

Noialtri non sapevamo proprio come poter odiare Esa, neanche se ti fregava sotto gli occhi due tipe al bboy event di Bologna. Gli volevamo bene, al Presidente, come lo si vuole ad un lider maximo, una guida che non c’aveva mai deluso e anzi ci infottava ben bene.

Noialtri, per i CentroTredici, avevamo auspicato un gran futuro, anche se poi – dopo Acciaio – son scomparsi e chi se li ricorda.

Noialtri s’era visto Fabri Fibra alzarsi dai divanetti di un locale romano per salire ed esibirsi in uno showcase devastante che nemmeno l’avresti detto fosse lui, Fabri Fibra, maglione slabbrato, ginsetto sdrucito e udite-udite polacchine, insomma un rapper in polacchine sguardo smorto e joint rullato su quei divanetti che poi lo senti reclamare on the stage e lo vedi alzarsi, cazzo, Fabri Fibra è lui ed era là seduto vicino a noi.

Noialtri s’è disquisito con la effe-i-la bi-la erre-a e col suo deejay ai tempi, Lato, di siepi odorose di timo e di cosa fare e non fare per poi affogare nelle nubi fumose di erba buona. Era il periodo dorato della Clicque Teste Mobili, gli anni antecedenti alla crisi e poi al risorgimento di Mr Simpatia che oggi gira su emtivvì pure lui, reclamandosi applausi e rappando vestito da coniglione in metro.

Noialtri abbiamo vissuto sulla nostra pelle la prima edizione degli Amici della De Filippi, ché c’era Caciara ed era strano come una settimana prima, nella sua cameretta, avessi registrato un pezzo per un mixtape che stava preparando e poi era là, tutti i giovedì sera su Canale Cinque e non t’aveva detto nulla. Noialtri che lo andammo a trovare, il Caciara, quando il tour degli amici di cui sopra toccò la nostra città, si visse pure un po’ di luce riflessa, facendoci largo tra una folla di teenager inferocite e lui ci accolse e che chiacchierate; i carabinieri che gli chiedevano gli autografi e noi che dopo averlo salutato ci vedevamo correre incontro le ragazzine che ci chiedevano “Ma allora lo conoscete? Siete amici suoi?” e tu che gli dici? non ti pavoneggi per il solo fatto di conoscere una star televisiva? Geez.

Noialtri, per dirla tutta, quando si faceva il rap lo si faceva pure molto bene.
Però, erano meglio i Sangamaro.
Gionata avrebbe fatto, di questa affermazione, il suo cavallo di battaglia.
Anche se di Gionata, che ci crediate o meno, c’era stato un periodo in cui non intuivamo nemmeno lontanamente l’esistenza.

C’erano stati giorni in cui la doppia acca, per Gi, non era molto di più di una melensa soluzione di hit commercialotte passate nelle più importanti emittenti radio dello stivale, liaison sentimentali in un certo qual modo invischiato in faccende di rappers o bboy o writerz o semplicemente qualche scopata mentre Albertino smazzava il Wu-Tang a One-Two One-Two.
Noi eravamo troppo impegnati per cagarcelo anche di striscio. Avevamo il nostro bel da fare, in quegli hiphoppici giorni d’appendice di ventesimo secolo, a creare e fomentare crew di skaters, writers, djs e merchandiser, mancava solo radunassimo crew di mignotte e panettieri. Alla fine eravamo centocinquanta e ci conoscevamo a malapena l’uno con l’altro.
Gionata, tra quelli, non c’era. Voci di corridoio dicono che in quel periodo si sbattesse sul lavandino del cesso del porto una che dell’hip-hop sapeva solo che era una scritta da apporre sullo zaino ricalcando certe scritte del diario Magilla.

E allora se li era persi tutti, i bei tempi, quelli di atti vandalici e pezzi su ogni muro del parchetto, di jam sessions negli scantinati con la strumentale della Nassica The message a loop, di megaspedizioni a cercare di attaccar briga coi westsazzi, coi “faggiani” coi suckerz, coi sanpietrini nel portabagagli e salivazione azzerata prima del contatto.
In realtà ancora non avevamo capito un emerito cazzo di come girava questo posto.
Nessuno c’aveva mai impallinato – e mai l’avrebbe fatto – la fiancata della macchina. Giravamo con una sitroenna scalcinata, noialtri. Mica con l’Hummer. Mica con la Bentley.
Quello non era un paese per gangsta, Dio mio, no. Della Cultura sapevamo il minimo sindacale.
Non avevamo sperimentato la raccolta del cotone nei campi del deep south, non sapevamo un emerito del boasting e se ci avessero chiesto chi o cosa fossero le dirty dozens, beh, avremmo risposto senza indugio “Quelli che spaccano al fianco di Eminem e di Dre”.
Non avevamo la benché minima idea di chi fosse Rosa Parks e anzi ci chiedevamo la ragione di tutto quel casino per due negre chiappe posate sul seggiolino di un bianco autobus. Malcolm X aveva per noi la faccia di Denzel Washington, scambiavamo I have a dream con Dream is my reality di Richard Sanderson, e delle Balck Panthers sapevamo solo che uno che li appoggiava, un giorno era salito sul podio delle Olimpiadi col guanto nero in alto sfidando il sistema.
Per noi, l’unico vero ghetto era quello dietro la sinagoga dove andavamo ad azzannare i carciofi alla giudìa da Giggetto al Portico d’Ottavia.
Avevamo un background culturale fatto di Otto sotto un tetto, Tangentopoli, Notti magiche inseguendo un gol nanninicamente e bennaticamente scanticchiato, film di Vanzina e al massimo i Quaderni di Gramsci, che solo il più rosso di noi aveva nella libreria ma non significa che l’avesse necessariamente pure letto, e sapevamo un cazzo di come girasse il mondo là fuori.
Hip Hop in tha house, oh sì, e poi ognuno stava a casa sua per cazzi propri ad attaccare lavatrici e preparare sbobbe per pranzo. Eravamo bisbetiche casalinghe che non trovavano di meglio da fare dello spettegolare tutto il giorno tutti i giorni mentre il sugo cuoce a fuoco lento, molto lento.
Darwin non era un cretino e la selezione naturale, lor signori sapranno, ad un certo punto della storia subentra meschina, operando meticolose vivisezioni e facendo sì che solo gli idonei possano avanzare.
Le mode passano, gli entourages anche, e di decimazione in decimazione assistevamo allo sfaldarsi della pantagruelica accozzaglia di signori dalla braga larga e dalle idee poco chiare. I sanpietrini ammuffivano al fianco della ruota di scorta. Mai che n’avessimo sfracellato uno contro tempie meritorie di punizione.

Noialtri no, eravamo troppo pieni di noi, troppo convinti, troppo infottati per farci sfuggire la situazione di mano e forse anche troppo goodfellaz per rovinarci con una cazzata.
Però ce la sentivamo vergata a sangue sulle braccia, questa roba, e avremmo dato la vita pur di vederla spandersi e occupare i ritagli pomeridiani d’emtivvì. D’altronde, eran i mesi di seminare, quelli là.
Certe volte ci mettevamo seduti a circolo, come all’anonima alcolisti, e cercavamo di spiegarci l’un l’altro come ci eravamo andati a sbattere con la Cultura. Non c’è una spiegazione, non una razionale almeno. Arriva e ti sommerge, tsunami imprevisto. Questa roba spinge, fa pulsare il sangue e la testa sbarella, senti che il mondo irradia le sue vibrazioni sui quattro quarti e tu ci sei dentro fino il collo, senza nemmeno accorgertene. L’inchiostro di china, l’aerosol e l’adrenalina pompano a fiumi nel circuito. E poi vedi che non sei il solo, ci sono fratelli che il mondo lo inquadrano proprio come te e sono dietro l’angolo. C’è Donnie che ti racconta di quando il rap viaggiava a braccetto con una certa sottocultura sinistroide da centro sociale e lui è lì che l’aveva incontrata, la Cultura, in Curre Curre Guagliò della Bisca 99 Posse che ancora non c’aveva spiegato quello che sei per me.
C’è Kader che di mestiere fa il cingalese, la mattina smazza l’aglio al mercato e la sera le rose per locali ma il pomeriggio trova il tempo e la gioia di venirsi a buttare nella masnada anche solo per far rimbalzare la testa e dimenticarsi per un attimo della vita di merda che fa.
Ci sono quelli sciorinano rime che pisciano sul sistema, sui governi, su chi ti comanda a bacchetta e sulle guardie; i borghesotti che vorrebbero riempire le mutande di Karl Kani con le palle che non hanno e quelli per i quali è sempre, solo e comunque lotta armata.
C’è chi ignora come sia fatto un libro e chi mastica tomi di Hobbes, chi fa lo sguattero sui treni per comprarsi le Montana e chi si prostituisce a smazzare tunzettùnze per comprarsi i Technici Duemila.
Non sapevamo un’acca di inglese e non ci fossero stati i testi, nei booklet di certi ciddì di Tupac, forse avremmo ignorato per sempre il significato di All eyes on me.
C’era chi andava dietro al flow riempendolo con naranaranà o fofofofofò, a qualcuno piaceva solo la metrica a prescindere da ciò che c’era nel ripieno, di quella metrica. Eppoi si giustificava, il fofofofante, dicendoti che anche se non c’arrivi con le parole, il significato te lo suggerisce il cuore. Ed era alta poesia, per noialtri, una confessione del genere.

Noialtri, oh sì.
Quelli brutti, sporchi e cattivi, ma solo fuori.
Quelli pieni di fotta.
Paratevi il culo, bro.

[tratto da Katacrash, Fabrizio Gabrielli, Prospettiva editrice – Brain Gnu]